E tu? Come hai cominciato?

A volte mi siedo e provo a ripensare a come ho cominciato a fotografare, a cosa mi ha spinto a prendere in mano una fotocamera e cosa mi spinga a continuare a farlo,  anni.

Fotografare: cosi’ personale, cosi’ intimo

La fotografia non è certo una passione che spinge a socializzare. Anche se da qualche anno a questa parte, per una scelta professionale, ho scoperto molto piacevolmente una dimensione meno solitaria, resto piuttosto convinto che la fotografia sia un’attività molto personale, se non addirittura intima, che nasce e si sviluppa, soprattutto, in una dimensione solitaria.

Ognuno di noi si avvicina alla fotografia spinto da motivazioni personali e tutte sue e, anche se oggi, grazie alla tecnologia, è molto più facile farlo, resto dell’idea che chi si spinge oltre alla smartphone photography, lo faccia di sicuro successivamente ad una scelta consapevole.

Oggi tutti scattano fotografie, ma questo non li accredita di diritto nella categoria fotografi, per lo meno secondo il mio personalissimo ed opinabile parere.

Si possono scattare foto, e magari scattarne anche di belle o interessanti, se non addirittura memorabili, senza per questo essere fotografi.

La tecnologia ha divelto il sancta sanctorum della fotografia, concedendo a tutti la chance di impressionare un sensore, esponendolo alla luce, e di trasformare una scena in una matrice di uni e zeri, che poi un algoritmo trasforma in un file immagine.

Questo prodigio, sebbene estremamente democratico, non trasforma però, uno ad uno, chi schiaccia il pulsante (spesso virtuale) in un fotografo – sento già le polemiche montare e, siccome il focus di questo articolo è un altro, taglio corto.

Quanta soggezione…

Cosa mi ha spinto a fotografare

Mio padre possedeva una Rolleiflex biottica e mi era proibito maneggiarla, se non in sua presenza. La vecchia Rolleiflex non era cosa per bambini, lo si capiva sin da subito. Nera, pesante, tutte quelle leve e ghiere e poi la custodia in pelle marrone, che la rendeva oltremodo preziosa. Quando in casa fece la sua comparsa la ben più maneggevole Ricoh KR-5, presi coraggio. Nel frattempo mio padre portò a casa anche una cinepresa, che per un po’ catturò la mia attenzione di ragazzino (curioso).

Giocattoli da grandi, ma se volevo giocare a fare il grande, con quegli aggeggi mi sarei dovuto cimentare. Già, ma con quale!? Con la cinepresa o con la macchina fotografica?

Scelsi la seconda, dandomi una motivazione che ancora mi sorprende, se ci ripenso: con la cinepresa (di mio padre) non ci potevo fare un film vero, mentre con la macchina fotografica, sempre che avessi imparato, potevo le foto uguali a quelle vere.
Avevo sette o otto anni e la motivazione che trovai mi bastava ed avanzava.

Avrei fatto fotografie e, quando mio padre si comprò una Pentax MX nuova fiammante, feci il diavolo a quattro per farmi regalare la vecchia Ricoh.

A quel punto mi restava solo una strada: imparare. Anche perché, convincere mio padre a cedermi la sua Ricoh non fu cosa semplice e avvertivo un briciolo di pressione.

Quando in una casa abitano due fotografi, uno di questi è di troppo (!).

Ed ecco il colpo di culo – perdonate il francesismo.
Ci sono incontri che, senza che ce ne si renda per forza conto subito, hanno il potere di segnare un’intera vita e quello con Pietro Donzelli è stato uno di quelli.

Non sapevo chi fosse quell’omone dal carattere ruvido e la voce potente quanto la risata, se non semplicemente Pietro, l’amico di papà che fa le fotografie. Già, salvo poi scoprire molti anni dopo che Pietro era uno dei maestri della fotografia italiana a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, anche se una certa fama la raggiunse solo post mortem e non nella misura che avrebbe meritato (i suoi reportage sull’esondazione del Po e sulla vita dei minatori di carbone  del Sulcis restano momenti di altissima fotografia).

Pietro, un po’ per gioco e un po’ per ingelosire mio padre, prese a darmi qualche dritta, facendo leva sulla mia curiosità e sulla mia voglia di dimostrarmi grande e uno che faceva le fotografie.

“Dai che te insegni a fáa ‘na cartulina, inscì femm dà de matt el to papà” – che in italiano significa “dai che ti insegno a fare una cartolina, così facciamo impazzire tuo padre”. La cosa lo divertiva moltissimo e io cartolina dopo cartolina imparavo.

“La teoria la imparano anche i muli” e “Se non racconta una storia, non scattarla”.
Per mia fortuna a Pietro Donzelli non bastò più far impazzire mio padre. Forse io crescevo, forse gli davo una certa soddisfazione, sta di fatto che il vecchio Pietro mi ha fatto entrare prima nel mondo della fotografia di tutti e poi, sempre di più, nel mondo della sua fotografia.
E non lo ringrazierò mai abbastanza.

altalena madhya pradesh
© Walter Meregalli – La soddisfazione di raccontare una storia unica e di farlo condensandola in un istante sospesa dal tempo

Perché ho continuato a fotografare

Inizialmente la fotografia era per pochi fortunati, lo ammetto. Bisognava avere la possibilità di mettere le mani su una reflex, prima di tutto. Poi serviva una certa volontà che spingesse a perseverare, quasi un’abnegazione: i risultati li si vedeva soltanto dopo molti giorni e poteva essere parecchio frustrante, nel caso di insuccessi.

Cominciai a notare che me la cavavo, che il numero di pose sbagliate diminuiva e che quello che tiravo fuori con la Pentax MX soffiata a mio padre piaceva sia a me, sia agli altri.

Inizialmente mi bastò e mi spinse a migliorare, nella tecnica, nel linguaggio.

Poi, finalmente, capii la frase di Donzelli e cominciai a vedere la fotografia come un eccezionale strumento per raccontare storie e contemporaneamente capii che, in buona sostanza, quasi tutta la mia vita girava attorno a questo concetto: raccontare storie.
E questo mi fa continuare ad aver voglia di fare fotografie, anzi di essere un fotografo.

E voi!? Perche’ non raccontate la vostra storia?

Sono curioso, dopo avervi annoiato con la mia, mi piacerebbe conoscere le vostre storie.
Come avete cominciato a fotografare? Cosa vi spinge a continuare a farlo? Cosa cercate di esprimere attraverso la fotografia?

Dai, buttate giù le vostre storie…  cercate di restare tra le 500 e le 1000 parole e mandatemele via mail a questo indirizzo: info@waltermeregalli.net, mettendo nell’oggetto della mail “Come ho cominciato”.

Come scriverle!? Come meglio credete.
Rispondete a queste tre semplici domande:

  • Come avete iniziato?
  • Cosa vi ha spinto a continuare?
  • Cosa volete esprimere?

Vi prometto che le leggerò tutte e tra quelle che arriveranno ne sceglierò tre – ma ora non chiedetemi secondo quali criteri – e queste tre le pubblicherò, oltre ad offrire 100 euro (!!!) di sconto a tre scelti, da spendere partecipando ad un mio photo tour o ad un mio workshop

Magari potreste essere interessati a leggere anche:

Ti interessa sapere chi è stato Pietro, l’amico di mio padre che faceva le fotografie? Clicca qui.
Se per caso fossi interessato ad una delle sue pubblicazioni più famose…

Pietro Donzelli – “Terra senza ombra” – Il delta del Po negli Anni Cinquanta

Ed.bilingue  ITA/ING  – Cop. rigida  – pgg.  208

Terra Senza Ombra


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2 risposte a "E tu? Come hai cominciato?"

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  1. Volevo comprare una macchina fotografica compatta, il budget era limitato, 100.000 £. Un amico appassionato di fotografia mi suggerì la Zenit 100. Poi un libriccino sulla fotografia (che a mia volta ho regalato ad un nipote instillando in lui la voglia di fare foto tanto da diventare fotografo di professione). Con la Zenit 100, interamente manuale ed esposimetro esterno, ho imparato quanto poteva servirmi.
    Mi piace la fotografia naturalistica e le macro, la mia in fondo è semplice caccia fotografica.

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