Raccontare un luogo attraverso i volti
Non fraintendetemi, non sto, né esplicitamente né implicitamente, affermando una ridicola supremazia del ritratto nei confronti della fotografia di paesaggio.
Il messaggio che vorrei passare è più un suggerimento, un suggerimento che, a mia volta, mi è stato dato e che ha influito moltissimo a caratterizzare la mia visione e il mio linguaggio creativo – per quello che possono valere.
Normalmente, si è portati a pensare che la fotografia che meglio racconta un luogo e, in particolare, un viaggio è la fotografia di paesaggio.
A lungo sono stato anch’io di quest’avviso, poi un giorno di molti anni fa ho fatto uno di quegli incontri che hanno la capacità di segnare un prima e un dopo.
Kathmandu, un Nescafè e una lezione di storytelling
All’Himalayan Jivan Cafe nessuno davvero ci andava per il caffè, un Nescafé liofilizzato uguale a tutte le altre brodaglie servite in tutti gli altri bar di Kathmandu. In quel cafe ci si andava per sedersi ad un tavolo del primo piano e osservare la vita scorrere sul selciato di Basantapur Square, attraverso i vetri sporchi delle finestre con gli infissi dipinti di rosso.
Quel pomeriggio, al tavolino di fianco al mio, siede un altro straniero che, proprio come me, ha scelto di rilassarsi qualche mezzora e di abbandonarsi a quello spettacolo senza copione che andava in scena di sotto.
Ci studiamo con la coda dello sguardo. Una Nikon io. Una Nikon anche lui. Ci presentiamo. David, canadese, fotografo. Lui mi mostra i suoi scatti. I gli mostro i miei. I suoi scatti erano davvero speciali – ricordo di non essere riuscito a trovare nessun altro aggettivo, speciali.
«Posso permettermi una critica?» – mi domanda. Certo che sì.
«Mi piacciono i tuoi scatti…», sento che sta per arrivare un ma. E puntualmente arriva.
«… ma li potrebbe fare chiunque.»
Poi, siccome nota il mio risentimento, David mi spiega il suo ragionamento e per me è stata una sorta di epifania.
Aveva ragione David, chiunque, con una buona tecnica, nozioni di composizione, un buon occhio, poteva tranquillamente replicare i miei scatti, i miei panorami. E se avesse avuto più tempo a disposizione, magari avrebbe anche avuto la fortuna di imbattersi in una luce migliore.
«Aggiungi un volto e quello scatto sarà soltanto tuo.»
David era riuscito a condensare una lezione memorabile di storytelling fotografico nel lasso di tempo che serve a far raffreddare quanto basta per poterla sorseggiare senza ustionarsi il palato una tazza di Nescafé.
Ci siamo salutati e non abbiamo avuto più modo di condividere qualche foto e una tazza di caffè liofilizzato. Di tanto in tanto ci si incrociava per strada, ma io e David siamo tornati ad essere perfetti estranei – per gli amanti della precisione, David di cognome fa duChemin, già David duChemin.
Ritratti in viaggio: aggiungi un volto e quel viaggio sara’ soltanto tuo

Ritratti in viaggio: scegliamo con molta cura i nostri soggetti
I grandi ritratti arrivano immediatamente. Qual è il loro segreto?
Sicuramente una buona composizione, sicuramente un uso corretto della tecnica, ma soprattutto il soggetto.
Non lasciamoci travolgere dall’ansia di scattare chiunque ci si pari davanti, solo perché siamo in viaggio e si sa, lontano da casa, tutto acquista un fascino esotico.
Non faremo altro che riempire le nostre card con volti che finiremo col cancellare, prima o poi.
Impariamo ad attendere, a selezionare.
Cerchiamo tra la folla, con calma. Studiamo i tratti somatici, ma in particolare modo studiamo le espressioni e, soprattutto, impariamo a riconoscere le condizioni favorevoli perché il nostro soggetto si possa trasformare in una bella storia fotografica e, quindi, in una storia interessante.

Lo sguardo fiero, il naso elegante, il turbante perfetto, la lancia mi hanno spinto ad avvicinare questo guerriero sikh di guardia al Tempio d’Oro di Amritsar e a chiedergli di posare per me per una manciata di istanti.
Ritratti in viaggio: rapidi, cortesi, reattivi.
Sono davvero pochi i soggetti che si sentono a loro agio di fronte ad un obiettivo puntato. Ecco una ragione per essere rapidi. Personalmente cerco sempre di instaurare un qualche rapporto con chi ho scelto di scatto. Mi piace chiacchierare e non mi faccio certo intimorire dal disporre di un idioma comune. Io ci provo comunque perché sento che attraverso questo mio tentativo, che i soggetti dimostrano sempre di apprezzare molto, anche quando nessuno capisce l’altro, le distanze si assottigliano e si instaura una sorta di empatia, che spesso si traduce in espressioni particolari o meno ovvie.
Questo però rappresenta il prima. E se già il prima porta con sé un suo carico d’ansia, è il durante a rappresentare il momento topico. Infatti è proprio il durante ad irrigidirla maggior parte dei soggetti, a togliere loro molta della spontaneità che ci aveva incuriosito prima.
Per cui, durante, cerchiamo di essere rapidi e di limitare la fase di scatto ad una manciata di minuti, sottolineati sempre da una grande cortesia.
Questo significa lavorare in anticipo. Visualizzare lo scatto, comporlo mentalmente, risolvere i dettagli legati all’esposizione il più in fretta possibile, in modo da evitare di arrivare al momento dello scatto confusi o indecisi.
Chi acconsente a farsi ritrarre potrebbe non avere tempo da perdere e ci sta regalando un momento della sua vita, che, in ogni caso, è quanto meno irripetibile.
Questo non ci deve far travolgere dall’ansia, ma bensì deve spingerci ad essere molto presenti e reattivi.

Fuoco sugli occhi
È un dato di fatto: gli occhi catalizzano l’attenzione di chi guarda.
Questo non ci obbliga a scattare tutti i nostri ritratti con il soggetto che guarda dritto in macchina, ma, se lo facciamo, il fuoco sugli occhi deve essere impeccabile.
Siccome ci troveremo molto spesso a scattare con diaframmi piuttosto aperti, nella quasi spasmodica rincorsa alla profondità di campo ridotta, facciamo molta attenzione e assicuriamoci che gli occhi siano a fuoco – nel caso di una posa con il volto non in asse con la macchina, ad esempio trequarti, è preferibile tenere a fuoco l’occhio più vicino.

Si tratta di un “candid shot” che sfrutta il colpo di luce radente che filtra dall’alto e dietro il soggetto, staccandolo dalla zona d’ombra che caratterizza tutto il volto.
Luce e ombre nel ritratto
Scelto il soggetto, dobbiamo analizzare con attenzione la luce, valutarne la direzione, la la qualità, l’intensità e i rapporti da le zone in ombra e quelle in luce.
Le zona in ombra sono fondamentali quanto le zone in luce. L’alternanza tra ombra e luce crea la tridimensionalità.
Evitiamo la luce piatta, cerchiamo contrasti – che io personalmente prediligo – ma non esageriamo o correremo il rischio di trasformare il volto in una maschera.
Non è vero che non si possano scattare ritratti in pieno sole, forse non è consigliato per tutti i soggetti, ma con la dovuta cura e con la voglia di gestire i contrasti azzardati, la luce dura del sole a picco può contribuire a ritratti molto evocativi.
Se decidessimo di avventurarci in questa sfida, la scelta del soggetto dovrà essere ancora più curata, tenendo bene a mente che la luce dura e a picco è decisamente inclemente e quasi sempre produce risultati molto drammatici.
Il sole a picco sul volto è difficile da gestire, genera ombre dure sotto il mento, sotto il naso e sugli zigomi, enfatizza le rughe. Cerchiamo di evitare le donne, se stiamo pensando ad un ritratto canonico.
Col sole alto, un flash può fare la differenza, schiarendo le fastidiose ombre sotto il naso, sotto il mento e sotto gli zigomi. Mentre col sole alle spalle del soggetto, un deciso colpo di flash scongiura l’effetto silhouette.
Se notiamo che il sole è decisamente troppo forte, non perdiamo altro tempo e cerchiamo un riparo – vale tutto, purché faccia ombra, riequilibri lo sbalzo tra zone in ombra e zone in luce.
Un muro, una pensilina, un porticato, un albero, anche soltanto un ombrello o un telo, se qualcuno ci aiuta.
Scegliamo rapidamente e una volta per tutte.

Ritratti in viaggio: l’importanza del fondo.
Se non siamo alle prese con un ritratto ambientato, cerchiamo di trarre il massimo da una profondità di campo contenuta.
Mandiamo lo sfondo completamente fuori fuoco, rendendolo poco più di un suggerimento, di un accenno grafico a sostegno del volto ritratto.
Dobbiamo allenare l’occhio a cercare fondi che non distraggano o che non fagocitino il soggetto.
Allenare l’occhio a scorgere elementi di disturbo, che di solito si nascondono ai bordi dell’inquadratura, spostandoci di qualche passo a destra o a sinistra, alzando o abbassando di un poco l’angolo di inquadratura, affinché non ci siano elementi di disturbo.
Se uno sfondo non ci convince, non esitiamo a spostare il nostro soggetto, ma facciamolo rapidamente e soprattutto evitiamo di dare il via ad un fastidioso avanti e indietro.
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